La violenza sulle donne

Noemi Durini, una ragazza di 16 anni, viene barbaramente uccisa il 3 settembre 2017 dal fidanzato 17enne. Nicolina, 15 anni, viene uccisa con un proiettile in pieno viso dall’ex compagno della madre che non aveva accettato la fine della relazione con la donna. Elena Seprodi, 48 anni, uccisa dal marito a coltellate dentro casa. Per litigi famigliari una donna di 59 anni viene uccisa e fatta a pezzi dal fratello, che ne getta i resti in diversi cassonetti. Gianni Cadau, 41 anni, uccide a bastonate la mamma di 83 anni. Un uomo di 56 anni colpisce la moglie con una mazza da baseball poi esce di casa lasciandola lì agonizzante in fin di vita… l’elenco purtroppo potrebbe continuare a lungo, perché in Italia viene uccisa una donna ogni tre giorni. A commettere l’omicidio non sono estranei, bensì compagni, mariti, fidanzati, ex, figli. Il fenomeno è inquietante, basti pensare che la violenza domestica è il primo fattore di decesso nelle donne tra i 15 e i 45 anni, più degli incidenti stradali e delle malattie. Cosa spinge un uomo a usare violenza sul sesso debole? Cosa lo spinge a non fermarsi fino a uccidere? Le dinamiche in gioco sono complesse e sicuramente non univoche. In quel raptus di violenza l’uomo esplode infierendo contro un essere più debole, verso il quale sia la natura sia le condotte sociali richiedono cura e protezione. Sono donne a cui questi uomini sono legati affettivamente e ciò che scatena la violenza può essere sia la non accettazione del rifiuto da parte di lei, sia una forte conflittualità dovuta a interessi materiali. Nell’atto omicida l’uomo contravviene ogni regola interna ed esterna, in quel gesto delirante realizza il tabù di commettere ciò che più è vietato. Provare sentimenti protratti di rabbia, odio e frustrazione verso una persona senza poter agire fisicamente crea in alcuni individui una pentola a pressione che quando esplode non ha limiti. I maschi da sempre sono spontaneamente portati a esprimersi mediante condotte esternalizzanti, ossia azioni verso altre persone. Fin da piccoli sono fisici, risolvono i litigi o i malesseri scaricando fisicamente le loro tensioni, spesso facendo a botte o giocando a fare la lotta. Da una parte è la loro natura, dall’altra la società rispecchia l’idea di virilità e mascolinità nella forza fisica. Non poter esercitare questa indole su una donna nei confronti della quale si provano sentimenti negativi può portare in casi estremi a perdere il controllo. L’uomo al culmine della tensione emotiva spesso risolve i conflitti fisicamente, con la donna si proibisce di farlo, ma evidentemente in alcuni individui questo aspetto permane e cresce fino a fargli perdere il controllo. Ovviamente la supremazia fisica fa il resto, portando a compimento un omicidio che probabilmente fra due uomini in lite avrebbe luogo molto più difficilmente. Altra domanda di difficile risposta è: cosa spinge una donna a subire le violenze di un uomo? Probabilmente una donna non arriva a pensare che veramente quella persona a cui è o è stata affettivamente legata potrebbe commettere un gesto estremo. La donna tende a giustificare, a perdonare, a comprendere, a minimizzare, paradossalmente quella forza che le si scaglia contro viene vissuta come una forma perversa di protezione. La donna diventa vittima, colui che dovrebbe proteggerla diviene il suo carnefice, ma in un contorto quanto paradossale senso di appartenenza la donna resta legata, scambiando per amore e appartenenza una forma patologica di legame.

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